Oggi parliamo delle triglie: “Le triplici lor generazioni”

Secondo un’errata credenza popolare la triglia, popolarmente conosciuta come treggia de scheuggiu (Genova), trigghia i morsu (Calabria), trigghiuledda quannu è nica (Sicilia), treglia ‘e morza o treglia verace (Campania), barbòn de nassa (Friuli), avrebbe questo nome perché si riprodurrebbe tre volte all’anno, in realtà una sola volta tra aprile e agosto.

Il periodo ideale per il consumo “in stagione” è quello che va da Settembre a Dicembre. Con questo nome si identificano due distinte specie di pesci marini: la triglia di scoglio (Mullus surmuletus) e quella di fango (Mullus barbatus).

La distinzione fra le due è tutt’altro che accademica: quella di fango può anche essere buonissima, se però il pesce non si è nutrito con alimenti che diano un cattivo aroma alla carne. I caratteri che permettono la distinzione sono in primis i colori; nella triglia di scoglio la colorazione è bruno-rossastra con una serie di bande giallo dorato sia lungo i fianchi che sulla prima dorsale, sui fondali vulcanici la colorazione è molto più scura, negli ambienti algosi assume leggere dominanti verdastre.
L’altra specie, la triglia di fango manca di queste bande colorate e le pinne sono spesso incolori. La triglia ha una bocca minuta dalla cui estremità si diramano due appendici (barbigli), che sono utilizzate per cercare cibo sui fondali. La Triglia di scoglio, presente anche in Atlantico orientale (dalla Norvegia al Senegal), nel Mar Mediterraneo è diffusa lungo le coste rocciose e nelle praterie. Frequenta fondali rocciosi e qualche volta sabbiosi e fangosi coperti da vegetali, dove si nutre d’organismi che vivono sul fondo.

Chiamata “mullus” dai Latini e considerata sin dall’antichità una delle specie marine più pregiate era un pesce pagato caro perché il suo fegato era usato sia quale medicamento che come prelibatezza. Plinio racconta che nel suo secolo vi erano uomini ghiottissimi di questo “squisitissimo pesce” consacrato a Diana dea della caccia e della luna. Secondo Giovenale un certo Crispino arrivò a pagare seimila sesterzi una triglia di sei libbre, valore pari all’acquisto della proprietà di un campo.

Considerata in genere uno dei pesci più pregiati, la triglia è consumata dagli amatori cotta senza essere sventrata, cioè con tutte le interiora, e per questa ragione è detta la “beccaccia di mare”.

Biologo Alessandro Beghini